Parlare di Roger Federer, ancor peggio scriverne può sembrare un’operazione velleitaria, supponente, e probabilmente inutile. Cosa mai possiamo aggiungere, noi mortali, a quanto già evidente in ogni manifestazione terrena del divino. Egli ontologicamente è. A noi resta il compito di presenziare attoniti alle sue movenze, evitando di inquinarle con inopportuni commenti, fastidiose considerazioni o peggio, volgari elenchi di numeri. Letto in questo senso, il lavoro di Umberto Marino coglie nel segno alla perfezione. Affrontare Federer non dal punto di vista iconografico puro, ma come opportunità per descrivere una traiettoria onirica. Un monologo tennistico teatrale che utilizza Roger come pretesto per confrontare il sublime col normale. Un numero due alle prese con una divinità: come potrà mai andare a finire il match, ammesso che di match si possa parlare? Ossimoro che non lascia scampo. Eppure la lettura avvince fino all’epilogo, niente affatto scontato, in un gioco di rimandi, citazioni e proiezioni. Un ragionamento che utilizza il tennis come metafora dell’esistenza, sublimato tramite il fanciullo che è in noi e che ci restituisce un poco della nostra età perduta.
Umberto Marino
Umberto Marino è nato a Roma nel 1952. Laurea in Giurisprudenza, criminalista, poi Accademia d’Arte Drammatica. Commediografo, sceneggiatore e regista, ha scritto: vari radiodrammi, 30 commedie, decine di soggetti e sceneggiature di cinema. Tra i vari titoli: Distretto di Polizia, La stazione, Italia-Germania 4 a 3, Volevamo essere gli U2, La Freccia Azzurra, La gabbianella e il gatto, Pinocchio. Ha pubblicato libri e saggi e nel 2017 ha esordito nella narrativa con La ragazza che non conosceva Shakespeare. Con MdS Editore ha pubblicato Roger.